21 OTTOBRE 2013

POSSIBILITA’ DI MIGLIORARE LA QUALITA’ E QUANTITA’ DELL’INGESTIONE GRASSA PER MEZZO DELLA FRITTURA DEGLI ALIMENTI.  

É interessante il diverso comportamento secondo si tratti di frittura di alimenti magri o grassi. Si cerca di rappresentare il processo di penetrazione del grasso culinario dei due tipi di alimenti. In entrambi, come abbiamo detto, è necessario che in una prima fase previa alla penetrazione del grasso caldo, una quantità d’acqua esca dall’alimento per evaporazione, durante la quale la temperatura all’interno dell’alimento rimane praticante costante a 100 °C. 

Una volata che l’acqua è evaporata, come abbiamo commentato varie volte, comincia la penetrazione del grasso nell’alimento e questa è molto diversa, se si tratta di alimenti magri o grassi. Nel primo caso, il grasso dell’immersione penetra nell’alimento, questo se ne arricchisce e logicamente la composizione del grasso dell’alimento fritto sarà praticamente la stessa del grasso culinario. Per esempio, a friggere le patate in olio d’oliva la composizione lipidica dell’alimento fritto è molto ricca di acidi grassi monoinsaturi provenienti dall’olio d’oliva dell’immersione. Il problema è molto più complesso nel caso degli alimenti grassi. Dal punto di vista quantitativo,  il numero di grassi che passa dall’alimento al bagno d’immersione e viceversa è praticamente lo stesso. Per questo non ci sono grandi cambiamenti nella quantità di grasso dell’alimento fritto in rapporto all’alimento crudo. D’altra parte, avvengono dei cambiamenti dal punto di vista qualitativo che dipendono in gran parte dai gradienti delle concentrazioni dei diversi acidi grassi del grasso culinario e di quello dell’alimento.

In generale e senza approfondire un tema così complesso, si può dire che quando la concentrazione di un componente è maggiore in un mezzo rispetto ad un altro, c’è una tendenza ad uguagliare entrambe le concentrazioni; ciò suppone un cambio nella composizione sia degli acidi grassi che del grasso culinario, che si arricchisce degli acidi grassi che passano dall’alimento ad esso sia in senso opposto come avverrà all’alimento, che si arricchirà di quegli acidi grassi penetrati in esso e che procedono dal grasso della frittura.

Pensiamo che ciò che avviene con la carne è un esempio pratico di quanto abbiamo appena affermato: al friggere quest’alimento in olio d’oliva, i cambiamenti nella composizione lipidica saranno molto differenti sia quantitativamente che qualitativamente, secondo si frigga della carne magra o grassa.

Nel caso della carne magra aumenta la quantità totale di grasso, in quanto alla qualità, diminuisce fortemente la proporzione di acidi grassi monoinsaturi e diminuiscono anche gli acidi polinsaturi con il risultato finale di un miglioramento della carne fritta rispetto alla carne cruda.

Nel caso della carne grassa, i cambiamenti qualitativi non sono molto significativi, visto che praticamente vi entra lo stesso grasso che ne esce e i cambiamenti nei gruppi di acidi grassi concordano con i gradienti delle loro concentrazioni: diminuzione degli acidi grassi saturi ed incremento degli acidi grassi monoinsaturi, mentre non si verifica variazione alcuna negli acidi grassi polinsaturi, poiché le concentrazioni di questa famiglia nella carne usata e nell’olio sono molto simili.

Riassumendo, in tutti e due i casi la frittura della carne magra o grassa in olio d’oliva migliora la qualità del suo grasso.

Giunti a questo punto è interessante chiedersi se in effetti il grasso potrebbe essere lo stesso sia se ingerito fuori che dentro la carne. Tuttavia, si ricordi che quando si friggono gli alimenti, gli oli non si usano solo una volta, ma si è solito usarli più volte per friggere altre porzioni di alimento. Il tema delle fritture ripetute è molto interessante in rapporto alla così detta vita utile dei diversi grassi culinari. In definitiva, si dovrebbe cercare di conoscere il numero di volte in cui tali grassi possano essere usati in fritture ripetute. Non è affatto facile conoscere questo valore perché dipende da numerosi fattori, specialmente dalla composizione grassa dell’alimento e dal tipo d’olio usato. In questo senso, è noto che l’olio d’oliva per il suo alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi e per il basso contenuto di acidi grassi polinsaturi è molto più stabile di altri oli ricchi di  acidi grassi polinsaturi, responsabili della sua minore stabilità rispetto all’olio d’oliva.

Inoltre, riguardo alle fritture ripetute, è opportuno considerare un fatto d’ordine pratico al quale crediamo non sia stata concessa la dovuta importanza e che può averne in quanto all’influenza sulla quantità e qualità dell’ingestione grassa reale. Ad un certo punto, l’olio delle fritture ripetute non è più utilizzabile si deve buttar via e perciò non viene ingerito. La quantità di quest’olio eliminato può essere importante e dipende, tra i vari fattori, anche dalla composizione grassa dell’alimento e dalla stabilità del grasso culinario usato. E’ difficile valutare la quantità d’olio che normalmente si elimina in tali circostanze, ma secondo la nostra esperienza rientra nell’ordine di un 20% circa del consumo teorico.

E’ importante ricordare che l’olio che gettiamo non possiede una composizione uguale a quello crudo ma che, come nel caso della carne, per continuare ad usare lo stesso esempio, è arricchito di acidi grassi saturi.

In termini pratici con questo procedimento abbiamo diminuito in primo luogo l’ingestione del grasso totale e al tempo stesso con l’olio gettato eliminiamo dei composti negativi, come gli acidi grassi saturi, non solo per quanto riguarda le malattie cardiovascolari. Altro canto, la carne migliora notevolmente la sua composizione grassa dovuto agli acidi grassi che penetrano in essa gli acidi grassi monoinsaturi nel caso di olio di oliva.